Foto di falco da Pixabay The Collage Post

The Collage Post

Il fenomeno storico che condusse gran parte dei Paesi del sub-continente ad abbandonare la democrazia si colloca in quello che Loris Zanatta definisce l’impulso rivoluzionario delle forze armate: con questa formula, lo storico italiano allude all’ambizione di rigenerare la nazione e alla determinazione di farsi carico del potere come istituzioni tutrici della coesione politica e dell’unità ideologica della comunità nazionale.

In questo senso, si è parlato di regimi militari istituzionali, per alludere al compito che le forze armate si prefissavano di “dover riportare in armonia e in equilibrio (le rispettive nazioni), sradicando quelle che giudicavano le cause remote dell’instabilità politica”.

Il 24 ottobre 1970 era stato eletto Presidente della Repubblica del Cile Salvador Allende, rappresentante della Unidad Popular, una coalizione formata dai partiti di centro sinistra.

Il 4 settembre 1970 Allende aveva vinto le elezioni con solo il 36,3% dei voti, uno scarto piccolissimo rispetto al candidato della destra Jorge Alessandri, secondo con il 34,98% dei voti, mentre il democristiano Radomiro Tomic aveva ottenuto soltanto il 27,84% dei voti.

Poiché nessun candidato aveva raggiunto la maggioranza assoluta, nessuno dei tre risultò eletto al primo turno e, secondo quanto previsto dalla Costituzione vigente, si svolse in Parlamento il ballottaggio tra i primi due classificati.

In questo ballottaggio, il presidente della Democrazia Cristiana in carica, Fuentealba, con l’appoggio del vice-presidente Bernardo Leighton, convinse deputati e senatori democristiani a dare il voto a Salvador Allende, che fu eletto Presidente della Repubblica il 24 ottobre 1970.

A pochi anni dall’elezione, nel 1973, la situazione economica del Cile era diventata insostenibile: il prezzo del rame era crollato, l’inflazione era cresciuta fino al 200% e il Paese era completamente paralizzato dallo sciopero dei camionisti, i quali avevano bloccato le strade e – tramite i passaggi a livello – le ferrovie.

Il temperamento del Presidente ebbe un ruolo decisivo negli sviluppi della situazione.

La ragionevole aspettativa dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) e soprattutto degli Stati Uniti – che avevano enormi interessi in Cile – era che il Presidente – preso atto del fallimento dell’esperienza di Unitad Popular – desse le dimissioni.

 Il Presidente era invece deciso a scontrarsi con i camioneros, rischiando di scatenare una guerra civile. Contava, al riguardo, sull’appoggio dell’esercito che – a differenza di altri Paesi del sub-continente – aveva tradizioni legittimiste.

Le forze armate non si sentirono di assecondare l’ostinazione di Allende e di schierarsi nella inevitabile guerra civile. Pertanto preferirono deporre il Capo dello Stato.

Precisamente, l’11 settembre 1973, le Forze Armate rovesciarono il governo del Presidente.

Il colpo di Stato era stato attuato dalla Giuntamilitare formata da quattro dirigenti: i generali comandanti dell’Esercito Augusto Pinochet Ugarte, dell’Aviazione Gustavo  Leigh Guzmán, della Marina José  Toribio Merino

Castro, dei Carabineros César Mendoza Durán.

Allende, evidentemente, credeva di avere l’appoggio dell’Esercito nel reprimere la ribellione della Marina e pensava che l’unico focolaio di rivolta fosse a Valparaiso.

Invece, anche i capi dell’Esercito e della Forza aerea stavano partecipando al golpe: c’era infatti un quartiere militare golpista situato nel comando di Penalolén, alle falde della Cordigliera delle Ande, da dove si dominava tutta Santiago e dove si trovava il generale Pinochet.

Quando Allende si rese conto che anche l’Esercito era probabilmente coinvolto nel golpe pronunciò alcuni comunicati ai cittadini tramite radio Magallanes (l’antenna di radio Corporacion era già stata bombardata da un aereo).

Alle 8,42 dell’11 settembre 1973 venne trasmesso per radio il primo proclama militare: dal Ministero della Difesa il comandante Roberto Guillard comunicò che, tenendo presente la gravissima crisi sociale e morale che metteva in pericolo il Paese, il presidente della Repubblica doveva procedere all’immediata consegna del suo mandato alle Forze armate e ai carabinieri del Cile. Ordinava inoltre di sospendere immediatamente ogni attività di informazione per radio, televisione e stampa; infine, ordinava ai cittadini di rimanere chiusi in casa per evitare vittime innocenti.

Questo proclama militare era stato firmato dal generale Pinochet per l’Esercito e dal generale Leigh per l’Aeronautica (che erano comandanti in capo); per la Marina, invece, aveva firmato l’ammiraglio Merino e, per i carabinieri, il generale Mendoza.

Gli obiettivi del governo erano stati resi pubblici con la “Dichiarazione dei principi del Governo del Cile” (11 marzo 1974) dove si indicava che “La Giunta ha come suo obiettivo più prezioso l’unità nazionale, respingendo qualsiasi teoria che contempli e incoraggi un antagonismo irriducibile tra classi sociali”. Il proclama culminava con la celebre esortazione “Es hora de trabajar unidos, sin rencores, sin divisiones, es hora de trabajar por la Patria y sus hijos!“. La dittatura di Pinochet durò fino all’11 marzo 1990. Pinochet morì il 10 dicembre 2006 per uno scompenso cardiaco presso l’ospedale militare di Santiago del Cile.

Di fronte a tale proclama il presidente Allende pronunciò il suo ultimo (quarto) appello, esortando la popolazione a non cedere al colpo di Stato.

“Pagherò con la mia vita la difesa dei principi che sono cari a questo Paese. Cadrà l’obbrobrio su quelli che hanno violato i loro impegni, mancando di parola, e rotto la dottrina delle Forze armate. In questo momento passano gli aerei. E’ possibile che ci bombardino ma sappiate che restiamo qui per dimostrare, perlomeno con il nostro esempio, che in questo Paese ci sono uomini che sanno mantenere gli impegni presi! Io lo farò, per mandato del popolo e per volontà cosciente di un presidente che ha la dignità della carica. In nome dei più sacri interessi del popolo, in nome della patria, mi rivolgo a voi per dirvi di avere fede. La storia non si ferma né con la repressione né con il delitto. Questa è una tappa che sarà superata. Questo è un momento duro e difficile. E’ possibile che ci schiaccino. Ma il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori. L’umanità avanza per la conquista di una vita migliore”.

Le circostanze della morte di Allende, avvenuta alle 14,10 dell’11 settembre del 1973, non sono ancora chiare: la versione ufficiale, confermata dal suo medico personale, è che il Presidente si suicidò con un fucile AK-47 donatogli da Fidel Castro, mentre altri sostengono che fosse stato ucciso dai golpisti mentre difendeva la Moneda.

Al colpo di Stato seguono due fasi di repressione degli oppositori del regime:

– la prima, più breve, che iniziò con il golpe e si concluse alla fine del 1973, durante la quale i responsabili furono prevalentemente l’Esercito e i carabineros, aiutati da civili appartenenti al movimento Patria y Liberdad, che si era battuto contro il governo di Unità Popolare sin dall’inizio della crisi;

– la seconda, che andò dal gennaio 1974 al novembre 1989, durante la quale le operazioni furono compiute principalmente dalle polizie segrete del regime, cioè dalla DINA (Direcion Nacional de Inteligencia), prima, e dalla CNI (Central Nacional de Informaciòn), dopo.

Un ruolo fondamentale in questa opera di repressione degli oppositori venne svolta dalla DINA, creata dalla Giunta di Governo, con il decreto legge del 14 giugno 1974. Si trattava di “un organismo militare di carattere tecnico-professionale che dipende direttamente dalla Giunta di Governo e il cui compito sarà quello di raccogliere tutte le informazioni a livello nazionale, provenienti dai differenti campi di azione, con lo scopo di mettere a disposizione i dati necessari per la formulazione di politiche e piani e per l’adozione delle misure che assicurino la sicurezza nazionale e lo sviluppo del Paese“.

Il direttore esecutivo della DINA era il colonnello Manuel Contreras, legato a Pinochet da vincoli di lealtà e obbedienza personale ed assoluta. L’obiettivo della DINA  era quello di eliminare tutti coloro che erano considerati nemici politici pericolosi per il regime.

Nell’agosto del 1977 la DINA venne sciolta e fu sostituita dalla CNI che, inizialmente, fino al novembre del 1977, conservò le stesse strutture e lo stesso personale della DINA.

Contemporaneamente alla DINA, tra la fine del 1975 e la fine del 1976, operava anche il c.d. Comando Congiunto soprattutto a Santiago; vi erano inoltre i servizi segreti delle varie Armi e dei Carabineros, come il SIFA (Servizio informazioni forza aerea), il SICAR (Servizio informazioni dei Carabineros, il SIN (Servizio informazioni nazionali).

La collaborazione con i Paesi vicini, come l’Argentina, l’Uruguay, il Paraguay, la Bolivia e il Brasile, fu attuata nell’ambito del c.d. “Piano Condor” o “Operazione Condor”, che si proponeva come obiettivo l’acquisizione e lo scambio di informazioni e di dati in possesso dei vari servizi segreti sugli avversari politici allo scopo di identificarli, localizzarli e procedere ad una forma di estradizione semplificata, che non richiedeva l’intervento della magistratura, oppure per procedere direttamente all’uccisione dei dissidenti.

Molti oppositori avevano cercato asilo in Argentina (dove già vi erano numerosi paraguayani) fino al colpo di Stato militare argentino.

Quasi certamente l’accordo di cooperazione fra le dittature militari venne firmato a Santiago del Cile nel novembre del 1975, dove il generale Manuel Contreras elaborò il regolamento della nuova organizzazione di sicurezza, poi inviato ai colleghi in Argentina, Uruguay e Paraguay. La rivista cilena”Apsi” pubblicò alcuni paragrafi di detto regolamento:

E’ per far fronte a questa guerra psicopolitica (della sovversione) che dobbiamo disporre, a livello internazionale, non di un commando operativo centralizzato, ma di un efficace coordinamento che permetta lo scambio di informazioni ed esperienze, e che favorisca inoltre la conoscenza personale fra i capi della Sicurezza“.

Molte furono le operazioni eseguite dalla DINA nell’ambito del “Piano Condor”, sotto le direttive di Contreras, utilizzando anche, come esecutori materiali dei delitti, agenti speciali dislocati all’estero.

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